giovedì 5 febbraio 2015

Lettera ai passanti orfani di me.

Accordi neri. 
All'inizio, accordi tutti neri.
...
E poi delle piccole bolle di luce.
Ma con il contagocce, una bolla qui, una bolla là, una dopo l'altra...*
Queste righe mi sono balenate nella testa quando mi sono accorta che, nel buio più buio, qualcosa si muoveva.
Ché fa sempre bene, constatare che nella pressoché totale immobilità ancora è possibile spremere via qualcosa, e che se scavi e scavi e scavi, come diceva Mama Odie qualcosina verrà pur sempre fuori, fosse anche una goccia nel deserto.
Magari non ti disseterà, quella singola goccia, ma dà pur sempre speranza, dà pur sempre un senso al tuo continuare a scavare.

C'è qualcosa di perverso in questo harakiri collettivo, in questo nostro accettare per buono qualsiasi lavoro o presunto tale che ci spacciano come grande occasione di carriera, questo nostro sapere ma non voler vedere nascondendoci dietro la frase "dovrò pur cominciare da qualcosa" quando sai sin dall'inizio che quel qualcosa non ti porterà molto più in là di quel qualcosa, che laddove cominci, lì finisci pure. E per fortuna, aggiungerei.
Il guadagno è un elemento secondario, quel che ci elettrizza è l'essere finalmente riusciti a smentire le voci malevole che ci sussurravano che no, che è inutile darsi da fare, che tanto lavoro al giorno d'oggi non ce n'è, è roba andata, valida per le vecchie generazioni, ma ormai... kaput! A voi e a tutte le vostre famiglie. Chiaro?
Sì signore, rispondevate. Ma intanto con la mano sinistra, quella subdola, quella del sotterfugio continuavate a scavare.
E mentre contempli quella scoraggiante immobilità suprema, ecco quell'inatteso "Eppur si muove!" a darti ragione del tuo vano scavare.
Lo sapete che non è proprio quel che cercavate, ma perché non provare? Non costa niente.
Al limite mi presento al colloquio e mi bidonano, almeno avrò provato, mi sarò fatta un'idea.
Ma poi invece vai avanti.
Vieni richiamata il giorno dopo e convocata in altra sede per quello che viene chiamato "corso formativo di sei ore" ('azz, che formazione accurata!), che vedrà presentarsi te sola alla presenza di due istruttori che ti ragguagliano sulle tue imprescindibili future mansioni.
E confessi di aver provato ancora una volta quel brividino lungo la schiena nello svegliarti presto, quel giorno, prima dell'alba, e uscire di casa quando ancora tutto taceva, lasciando la città immobile nel suo gelo premattutino e le tue figlie dormienti nei loro letti e il tuo compagno a dover sbrigare le mansioni ordinarie di vestitore-accompagnatore scolastico. Che nuova emozione a salire su quel treno, che frizzicorino a prendere l'autobus in quella città a te non del tutto familiare chiedendo informazioni su una via di cui sbagli a pronunciare l'accentuazione suscitando risatine sotto i baffi dei tuoi interlocutori. Che meraviglia il lungofiume della città grande, dove tu finora ti recasti solo in visita in tempi andati, o in cerca di materiale bibliografico durante le tue fatiche da laureanda!

Ed eccoti infine firmare il tuo primo contratto di lavoro dopo non si sa quanto. Sì, va bene, c'è quel fatto che c'è scritto sopra "di prova" e anche " collaborazione occasionale" e anche vi figura sinistramente la parola "incentivi" e quell'altra "bonus", e quel "€ 200 lordi" che non sai bene come interpretare, anche se dovrebbe toglierti ogni dubbio il susseguente "al netto delle ritenute fiscali", ma imperterrita vai avanti e ti dici va bene, vediamo a quanto posso arrivare, non sto mica firmando con il sangue.

Ed eccoti lì, in mezzo a una strada, che dico! In mezzo al corso principale della minuscola città in cui vivi, alla mercé di chiunque passa e di chiunque potrebbe conoscerti e vederti in quel momento e probabilmente lo farà, e di fatti ti imbatti in un numero imbarazzante di tue conoscenze vecchie e nuove, ne incontri più in queste ore di sottolavoro sottopagato che negli ultimi tuoi 5 anni di vita.
Eccoti là per strada, battuta dal vento gelido di gennaio e fiaccata dalle temperature che sovente si aggirano intorno agli 0°C a fare l'unica cosa che da sempre ti sei riproposta di non fare mai in vita tua, il punto di non ritorno della dignità sul lavoro, la lettera scarlatta delle tue future pubbliche relazioni, la colonna infame della tua carriera lavorativa presente passata e futura: la rottura di cazzo stradale.

Sì, cari amici: ero proprio io quella lì, quella con la pettorina gialla, un raccoglitore in una mano e un cartello plastificato nell'altra, le dita rattrappite e arrossate dal freddo che quasi non le sentivo più.
Quella rompicazzo che vi intercettava già a distanza incrociando il vostro sguardo e non mollandolo mai, che vi agganciava chiedendovi "due minuti" e che poi ve ne sòlava almeno una ventina, che vi stordiva di menate ripetute quasi a macchinetta mentre nei vostri occhi leggeva solo la disperata, drammatica ricerca di una via di fuga, e che mentre il vostro capo annuiva, mesto, vi incalzava dicendo "Vedo che sei d'accordo con me, evidentemente sei una persona a cui queste tematiche stanno a cuore. Per questo voglio farti una proposta".
Sì, lo so che me ne dovrei vergognare, e non confessarlo candidamente su queste pagine, ma credetemi se vi dico che il pudore spesso cede il passo alla più accanita delle determinazioni. Ti farò vedere io se non spremo tutto lo spremibile da questo lavoro di merda, caro il mio passante che ha fretta, che mi dice che sta perdendo il treno, o che deve entrare a lavoro, o che ha l'esame, e poi entra da Oviesse. Ah sì, eh? E' così che la mettiamo? Tu non sai con chi hai a che fare.

Lo so, lo so. Un tempo ero anche io come voi, poveri ignari passanti del pomeriggio feriale o pendolari della mattina in perenne ritardo. Anche io mi dimenavo sorridente sotto i colpi sferzanti dell'ennesimo sorridente dialogatore cercando di dileguarmi con cortesia e gentilezza, dopo essermi dichiarata favorevole ai diritti umani ma non per questo disposta a incentivare col mio contributo il suo miserrimo guadagno base. Il fatto è che non sono tenuta a spiegare a te i motivi per i quali non compilo il tuo cazzo di rid, caro il mio dialogatore.
Lo so. So tutto: conosco la strategia di cambiare marciapiede, quella di fingere una chiamata sul cellulare impellente, quella di azzardare uno scatto da centometrista soffiando tra i denti la scusa che sei in ritardo.
Conosco tutto questo e quindi sono in vantaggio, perché io, a differenza di voi, sono stata una passante importunata, ma pochi di voi sono stati dei rompitori di cazzo, e conoscete solo la metà delle mie risorse.
Comunque per il sollievo di tutti, questa lunga e breve agonia sta ordunque giungendo al suo triste epilogo.
Malgrado le lusinghe dei miei diretti superiori mi vedo col cuore gonfio di dispiacere e cordoglio costretta a declinare il gentile invito al rinnovo di questo appetibile contratto.

No, ragazzi, non glie la posso fare.
Non ho più il fisico, né la voglia, non ho più la tempra né la spensieratezza.
Ho due bambine a casa che in mia assenza si rapano la testa a vicenda approfittando di una del padre momentanea (così sostiene egli) distrazione. Ho un compagno lontano che è testé ripartito per lidi lontani e non eccessivamente rassicuranti. Ho un'emotività instabile che vacilla sotto i colpi sferzanti della tramontana di febbraio e tanta necessità di mantenere un equilibrio interiore che mi permetta di fronteggiare ancora una volta questo periodo strano e faticoso, instabile e un po' malinconico della mia vita, perché io la sera devo poter sorridere loro e dire che va tutto bene, che la vita è fatta anche di lontananze, e di momenti tristi, ma che ci sono sempre io per loro, e sempre ci sarò, che possono usarmi anche come punchball morale delle loro frustrazioni e paure di bambine che hanno visto di nuovo andar via il padre e non hanno la minima idea di quando lo vedranno tornare.

Perciò, vedi, passante caro, non posso assolutamente permettermi di logorarmi a questo modo nel tuo corteggiamento, perché poi quel che restituisco la sera è una madre non di molto più ricca in denaro, assai più povera in energie, e completamente sclerata emotivamente.

No, passante, ti ringrazio per l'attenzione concessami, e anche per quelle piccole bolle di luce che mi hanno permesso di rinfocolare in me quel barlume di speranza che credevo andato per sempre.
Ma la nostra storia finisce qui.
Lo so, è duro dirsi addio così.
Tu però, lo sai, non solo non mi fai più paura alcuna, ma ti ho persino trovato simpatico in questa nostra reciproca conoscenza. E non lo avrei mai creduto.
Chi l'avrebbe mai detto.




 * da: Daniel Pennac, Il giro del cielo

6 commenti:

  1. ho trascorso le ultime tre ore seduta qua a leggere il tuo blog......
    ci sono capitata per caso - io non ne possiedo, ma ne frequento qualcuno - Sei stata davvero una botta nella pancia, ma una botta bella
    mi presento, che non è....educato se no! Mi chiamo Emanuela, tanti anni più di te che potresti essermi figlia ( infatti la mia Giulia ha quasi 32 anni e Tommaso e Silvia 28 e il mio nipotino Unai 2!) ed ancora , per fortuna, la curiosità - quella bella, quella che fa andare avanti - verso gli altri.
    Ogni tua parola mi ha travolto, commosso, fatto ridere, sorridere, "ammagonarmi", fatto ricordare....Mi sono ritrovata in tanti tuoi racconti. Ho avuto voglia di leggerti e leggerti ancora. Ho rivisto Pisa e tutte le volte in cui ci sono andata, perchè Silvia ha fatto l'università lì.Ho avuto voglia di accarezzare le tue bimbe.
    Volevo solo dirti questo.Non so se sei consapevole di quanto sei brava a scrivere e raccontare, bravura che deriva dalla ricchezza che hai dentro, dalla profondità del tuo essere. Guarda che non sono complimenti.....ma semplici constatazioni.
    posso mandarti un grande abbraccio, principessa tra due principesse? Emanuela

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    1. Emanuela... che dire? Grazie, semplicemente. Sono preziose bolle di luce anche queste, per me, assai più del lavoro in pettorina gialla (che, pure, aveva il suo bel perché. Ma proprio nel senso di: "Per che?")

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  2. già, per che cosa? Qua abbiamo una lunga esperienza di lavori in pettorina gialla, che magari non erano così - intendo con la pettorina gialla- ma il concetto è lo stesso..... Tommaso ridicolo in giacca e cravatta (...tutto prestato) a lavorare 10 ore al giorno vendendo contatti del c......., senza rimborso spese, per 400 euro al mese , che poi dovevo dargli i soldi per il treno....e dovevo lavare la camicia azzurra e quella bianca, per fortuna in simil- cotone, così da non doverle stirare ( non stiro per principio da 7 anni!).
    E mi piacerebbe che un'enorme bolla di luce ti avvolgesse, davvero. E secondo me devi buttarti e SFRUTTARE questa tua enorme capacità di scrivere e comunicare. Non so come , mi piacerebbe potertelo dire subito ed ora, ma credi che ci sto pensando.Posso dirti che ti ho nel cuore? Davvero, senza voler essere patetica.ma vi ho qua, forse perchè " ci sono passata", forse perchè ci è passata Giulia, che ora le cose si stanno sistemando.
    un grande, grandissimo abbraccio Emanuela

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    1. Grazie. Sapere che ci sono molte persone che credono davvero in questa mia "dote" in realtà mi aiuta molto. E' una delle bolle di luce che mi hanno dato speranza e me ne continuano a dare in questo periodo. Ci sto pensando anche io in realtà. Solo che oltre a pensarci dovrei anche provare a fare il primo passo, prima o poi.

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  3. Ci sono passata anch'io ma tu lo hai reso splendidamente.
    Ti abbraccio e sono convinta che agli aspera seguiranno gli astra, te lo auguro di cuore!

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    1. Ti ringrazio di cuore. Se devo essere sincera, io non credo molto di arrivare agli astri, ma mi accontenterei di qualche lampione, tanto per tirare dritto. Ma qui solo cerini con cui ti ustioni le dita. (Mi chiamano la regina della metafora. Ahn?!)

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